Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università "Tor Vergata" di Roma (1993). Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia presso l'Università "Tor Vergata" di Roma (1998)...continua

La distorsione alla caviglia si verifica quando l’articolazione della caviglia si piega o si torce in modo eccessivo.
Le distorsioni più frequenti interessano la parte esterna della caviglia e provocano dolore e gonfiore immediati. Solitamente il dolore è localizzato davanti e sotto il malleolo peroneale, ovvero la sporgenza più bassa dell’osso laterale della gamba (perone). I legamenti interessati sono il legamento Peroneo astraglico e peroneo calcaneare Queste strutture sono degli stabilizzatori statici al contrario dei muscoli che sono degli stabilizzatori dinamici. Nel momento in cui avviene l’evento distorsivo e i muscoli hanno un impulso propriocettivo ritardato e non fanno in tempo a contrarsi i legamenti subiscono lesioni che vanno dalla distrazione alla rottura .Il movimento tipico avviene quando la punta del piede è rivolta verso il basso e la caviglia ruota bruscamente all’interno.
A seconda della gravità possiamo distinguere tre gradi di lesioni.
Se l’impatto distorsivo è elevato si possono verificare delle fratture così dette malleolari.
Una distorsione alla caviglia ha luogo quando il movimento dell’articolazione va oltre il suo normale range di movimento. All’origine di una distorsione c’è sempre un trauma: questo può essere dovuto a una caduta, a un atterraggio scorretto dopo un salto o al correre su s una superficie irregolare.
Quali sono i sintomi della distorsione della caviglia?
La sintomatologia tipica della distorsione alla caviglia include:
Nei casi più gravi possono comparire ecchimosi o ematomi.
Lo specialista effettuerà, dopo un esame fisico, una radiografia al fine di escludere la presenza di lesioni ossee, per escludere lesioni legamentose o cartilaginee è indispensabile eseguire una risonanza magnetica Fig 2 – 3
Dopo un trauma acuto alla prima distorsione e dopo avere escluso delle fratture, il trattamento è sempre incruento e consiste in riposo, ghiaccio, elevazione dell’arto interessato, farmaci antiinfiammatori.
E’ necessario fin dai primi giorni dalla distorsione, bloccare la caviglia interessata dalla distorsione mediante un tutore tipo AIR CAST Fig. 4 Per tre settimane e far deambulare il paziente con bastoni canadesi per 2 settimane e dalla terza settimana è fondamentale
Impostare il protocollo riabilitativo mirato alla riduzione dell’edema peri malleolare rinforzo muscolare ed esercizi propriocettivi con tavola di FREEMAN per un mese, nel riprendere l’attività sportiva può essere utile applicare un taping dedicato. Se si segue questo trattamento, dopo una prima distorsione Molto spesso si può ottenere una buona guarigione della lesione.
Il ritorno all’attività sportiva si può concedere dopo tre mesi dal trauma.
Se si verifica una seconda, terza distorsione dopo altri traumi è probabile che la guarigione del tessuto legamentoso non sia avvenuta e quindi le distorsioni si possono riverificare anche dopo un trauma banale sì da impedire non solo lo sport ma anche da condizionare una banale corsa, la caviglia è diventata instabile.
La Risonanza magnetica in questi casi evidenzia una gravità di lesione di secondo-terzo grado.
In questi casi il trattamento è necessariamente chirurgico.
Il trattamento di scelta è senza dubbio il trattamento artroscopico mininvasivo che viene eseguito in anestesia locale.
In che cosa consiste?
Consiste nell’inserire una sonda luminosa nell’articolazione collegata ad una telecamera. Fig. 5 e dei mini strumenti chirurgici per eseguire l’intervento.
La tecnica artroscopica nell’instabilità̀ cronica di caviglia ha una duplice funzione:
L’intervento per trattare le lesioni legamentose e stabilizzare l’articolazione,consiste consiste in una tecnica da noi utilizzata da molto tempo (LEGGI ARTICOLO Art.1) a seguito anche delle positive esperienze di Wolin, Fanton e Oloff Branca Zanini (Articolo 2 sul nome branca) ed è il ri- tensionamento termico capsulare per via artroscopica (Shrinkage) (Fig. 6).
L’emissione di onde radio tramite un elettrodo ad alta frequenza che svilppa una temperatura a 65° determina un accorciamento del tessuto collagene con perdita della struttura terziaria ed un conseguente ritensionamento del tessuto legamentoso del 30- 40%.
La caviglia viene posizionata in massima eversione e flessione dorsale per rilassare la componente capsulare laterale. Con lo strumento si lavora in senso disto-prossimale, in modo tale che la compattazione del tessuto connettivale avvenga distalmente alla sede di dove si deve determinare la compattazione, sfiorando con l’elettrodo il tessuto si ottiene visibilmente un suo accorciamento, con perdita della lassità ,prima ben evidente. La tecnica può e essere eseguita sia medialmente sia lateralmente. Come già accennato spesso concomitano lesioni di altre strutture legamentose (sindesmosi tibio-peroneale, legamento deltoideo, (lesioni osteocondrali) impingement anteriore.
I vantaggi dell’intervento artroscopico rispetto all’intervento a cielo aperto sono molti:
Assenza di Complicazioni
Bassissima % di infezioni
Anestesia Locale
Velocità di esecuzione
Intervento anatomico
Rapido Recupero articolare
Possibilità di intervenire contestualmente nel trattamento delle lesioni associate.
Tecniche non anatomiche tradizionali a cielo aperto.
Le tecniche non anatomiche consistono in innesti autologhi, principalmente con tendine del peroneo breve o lungo o del plantare o con “allograft”. Una terza alternativa, in casi selezionati, può essere l’utilizzo da preparati artificiali. Negli ultimi anni l’artroscopia ha svolto sicuramente un ruolo di rilievo e di scelta.
L’Impingement (o Sindrome da Conflitto) della caviglia è una condizione in cui si avverte dolore nei massimi gradi di flessione dorsale :conflitto anteriore o nei massimi gradi di flessione plantare : conflitto Posteriore.
L’impingement anteriore è molto più frequente
L’articolazione della caviglia è composta pricipalmente da due ossa – la tibia e l’astragalo – che scivolano l’una sull’altra senza attrito durante la flesso estensione.
nella sindrome da impingement fibrosa: a seguito di reiterati traumi distorsivi si forma una struttura fibrotica (una cicatrice biologica) che impedisce il normale movimento articolare, e procura dolore al paziente.
nella sindrome da impingement osteocartilaginea : la neoformazione consiste in uno sperone osseo sul versante anteriore della tibia (Fig.1) che determina un conflitto meccaco sul versante articolare astragalico limitandone la flessione dorsale e provacando dolore.
Quali sono le cause di Sindrome da Impingement della caviglia?
In linea generale si può creare in tutti quei pazienti in cui si ha storia di ripetuti traumi distorsivi, traumi, ma anche microtraumi sulla caviglia (come l’impatto con la palla nel calcio) che possono determinare la formazione di uno sperone osseo sulla tibia .
Una particolare condizione che può causare impingement posteriore è la presenza di un piccolo osso accessorio (os trigonum) che talvolta può avere dimensioni eccessive e può rimanere intrappolato tra la tibia e l’astragalo nei movimenti di flessione plantare del piede.
Il quadro clinico è caratterizzato da
limitazione dell’escursione articolare associata a dolore e versamenti articolari con associata alterazione del gesto atletico soprattutto
nel calciare la palla.
Accertamenti diagnostici
Gli esami strumentali come RX evidenziano la “deformità” ossee osteofitosiche che sono alla base del conflitto anatomico.
La RMN (risonanza magnetica) permette di valutare conflitto correlato alla presenza di tessuto fibro-sinoviale “esuberante” in eccesso oltre alle lesioni legamentose e cartilaginee frequentemente associate.
La terapia è esclusivamente chirurgica ed è artroscopica.
Consiste nell’asportazione del tessuto fibro-sinoviale in eccesso oltre che alla contestuale riparazione delle lesioni cartilaginee e legamentose associate; in caso di conflitto osseo vengono rimossi eventuali osteofiti che entrano in conflitto con la volta astragalica. (Fig.2)
Il trattamento artroscopico permette un trattamento mini-invasivo, efficace e con un veloce recupero funzionale. (Fig.3)
Arthroscopic treatment of soft-tissue impingement of the ankle in athletes
Thomas M.DeBerardinoM.D.(MAJ),Arthroscopy J. August 1997, Pages 492-498
Outcome of Posterior Ankle Arthroscopy for Hindfoot Impingement
lKevinWillitsM.D., F.R.C.S.C Arthroscopy JFebruary 2008, Pages 196-202
Arthroscopic treatment of anterolateral ankle impingement
l.Stephen H.Liu M D Arthroscxopy J April 1994, Pages 215-218
La rottura del tendine di Achille è un evento relativamente frequente che statisticamente colpisce con maggior frequenza gli sportivi di sesso maschile durante la terza e la quarta decade di vita. La causa è legata ad un trauma che avviene durate attività ad alto impatto come ad esempio il calcio, tennis, atletica, basket ed altre discipline simili.
Esistono poi rotture cosiddette atraumatiche legate a patologie infiammatorie croniche del tendine, a disturbi circolatori locali, a malattie sistemiche (esempio il diabete), all’assunzione di determinati farmaci (vedi la sezione Patologia e lesioni del T di Achille).
Oggi, salvo in casi molto particolari, la terapia è essenzialmente chirurgica. E’ necessario fare una precisa diagnosi del punto di rottura del tendine in quanto le tecniche di riparazione variano a seconda del livello della lesione ed è necessario per questo eseguire una Risonanza Magnetica.
La rottura può avvenire in prossimità della sua inserzione calcaneale, in corrispondenza della sua origine muscolare, od ancora a livello della sua porzione intermedia. Oggi è possibile eseguire riparazioni con tecniche mini-invasive grazie all’utilizzo di strumentario chirurgico appositamente studiato.
Grandi passi in avanti sono stati fatti anche per quanto riguarda la terapia post-operatoria. In passato l’intervento era seguito da un lungo periodo di immobilizzazione (fino a tre mesi) con apparecchi gessati che bloccavano anche il ginocchio. Oggi la sutura tendinea con tecniche mini-invasive ci permette la mobilizzazione molto precoce della caviglia e del piede con un rapido recupero funzionale. Di seguito potrete trovare una schematizzazione della tecnica chirurgica.
Le fratture della caviglia sono eventi molto comuni. La lesione scheletrica può essere causata da traumi diretti (incidenti stradali o sportivi nella maggioranza dei casi) od indiretti (esempio distorsioni). La gravità della frattura dipende dall’energia del trauma subito.
Per semplicità dal punto di vista descrittivo dividiamo le strutture scheletriche che costituiscono la caviglia nei malleoli e nel pilone tibiale. I malleoli sono quelle strutture ossee laterali, facilmente individuabili perché sporgenti, poste all’estremità della gamba. Quello interno è formato da una tuberosità della tibia, quello esterno dall’estremità del perone. La funzione dei malleoli è quella di impedire al piede di dislocarsi verso l’interno o verso l’esterno rispetto alla gamba, formando una vera e propria pinza di contenzione. Il pilone tibiale consiste nella parte centrale dell’articolazione della caviglia (costituita dalla tibia) che ha la funzione di sopportare il peso del corpo.
I segmenti scheletrici più frequentemente colpiti sono i malleoli. La frattura può colpire uno solo o tutti i malleoli (quello esterno o malleolo peroneale, quello interno o malleolo tibiale, quello posteriore o terzo malleolo). Nei casi più gravi si può associare una lussazione della caviglia (il piede si disloca dalla sua posizione anatomica rispetto alla tibia). Raramente il trauma può essere talmente violento da causare una ferita della pelle con fuoriuscita dell’osso (frattura esposta).La ricostruzione anatomica di queste fratture è importantissima per evitare conseguenze funzionali, quindi nella grande maggioranza dei casi, è necessario il trattamento è chirurgico. L’operazione può essere eseguita anche in anestesia periferica (si addormenta solo l’arto inferiore coinvolto dal trauma) ed in regime di one day surgery (24 ore di ricovero).
Più rare sono le fratture del pilone tibiale (che spesso coinvolgono anche i malleoli) (Fig.1 – Fig.).
Queste sono fratture molto difficili da affrontare. La caviglia è una regione anatomica coperta solamente da un sottile strato cutaneo. La pelle in questa sede è molto delicata e se non gestita in maniera idonea durante la chirurgia, può andare incontro a disturbi di cicatrizzazione esponendo l’osso sottostante, con conseguente altissimo rischio di infezione. Questo rischio concreto spesso ha dissuaso gli ortopedici da eseguire ricostruzioni chirurgiche nei soggetti vittime di queste fratture, accettando gradi variabili di invalidità funzionale. Oggi fortunatamente grazie a tecniche chirurgiche avanzate anche mini-invasive è possibile eseguire la ricomposizione anatomica di queste gravi lesioni limitando al massimo le possibili complicanze (Fig.3 – Fig.4).
Sono fratture che devono necessariamente essere affrontate da chirurghi che hanno eseguito un addestramento specifico. E’ dimostrato in letteratura internazionale che, in particolare nel trattamento di queste fratture, la percentuale di complicanze diminuisce con il livello di esperienza dell’operatore.
L’artrosi è quel processo degenerativo che coinvolge le cartilagini articolari. Queste, quando malate, progressivamente si assottigliano e si sfaldano scoprendo le ossa sottostanti che vengono in diretto contatto tra di loro. Il movimento diventa difficile, limitato e spesso molto doloroso. La gravità della malattia artrosica varia a seconda del grado di compromissione della cartilagine. (Fig.1 – Fig.2)
Le cause del processo artrosico a carico della caviglia possono essere molteplici. Nella maggior parte dei casi il danno articolare è secondario a pregressi traumi articolari acuti (fratture della caviglia o della gamba, lesioni legamentose croniche che esitano in caviglie instabili) od a microtraumi ripetuti nel tempo. In altri casi la responsabilità dell’insorgenza della patologia è da ricercarsi in processi infiammatori sistemici come ad esempio l’artrite reumatoide.
La cura di tale patologia dipende dal grado di degenerazione artrosica. Lo spettro di possibilità terapeutiche è molto vasto.
La prima arma di difesa è costituita dai trattamenti incruenti (fisioterapici) spesso associati a cure mediche (anti-infiammatori) per via locale o generale. Se questi ultimi non sono sufficienti a migliorare o risolvere la sintomatologia dolorosa, utili ed efficaci si dimostrano i trattamenti infiltrativi. Questi possono essere eseguiti, a seconda della gravità della patologia, mediante l’utilizzo di particolari farmaci anti-infiammatori associati a diverse formulazioni di acidi ialuronici (che hanno la funzione di preservare e la cartilagine articolare rimanente e di “lubrificare” l’articolazione). Le terapie finora illustrate sono attive solo sul sintomo (il dolore) e non sulla causa del problema (la degenerazione della cartilagine)
Oggi la nuova frontiera della terapia incruenta dell’artrosi è costituita dall’utilizzo di infiltrazioni di plasma autologo (ovvero prelevato dal soggetto stesso) ricco di piastrine (PRP). Questo si ottiene mediante il prelievo dallo stesso paziente di un certo quantitativo di sangue che viene poi centrifugato ed adeguatamente preparato dallo specialista ematologo. L’intera procedura si esegue direttamente presso uno studio adeguatamente attrezzato e richiede solo pochi minuti. Le piastrine degranulandosi (leggi: aprendosi), rilasciano una varietà di fattori di crescita che sembrano essere efficaci, entro certi limiti, nella rigenerazione cartilaginea e quindi nella cura della causa dell’osteoartrosi.
Un’altra alternativa consiste nella pulizia intraarticolare par via artroscopica che consiste nel regolarizzare le superfici articolari cercando di livellarle asportando i detriti cartilaginei ed eseguendo delle sinoviectomie riducendo l’ipertrofia sinoviale che spesso è causa di dolore.L’intervento appunto viene eseguito in artroscopia,in anestesia locale ed è molto poco aggressivo per il paziente.Il recuper è molto rapido.
Quando il processo diventa gravemente invalidante è necessaria la chirurgia sostituiva. Oggi si prediligono tecniche, il cui scopo è quello di eliminare il dolore e restituire mobilità mediante impianto di artroprotesi (Fig.3 Fig.4) (articolazioni artificiali). Tuttavia in casi molto avanzati è necessario ricorrere a tecniche più aggressive quali l’artrodesi (l’eliminazione dell’articolazione stessa) con grande soddisfazione del/della paziente. Grazie all’evoluzione scientifica e tecnologica tutti questi interventi possono essere eseguiti in anestesia periferica (si addormenta solo tutto o parte dell’arto inferiore), con recupero relativamente rapido della deambulazione. Il controllo del dolore è estremamente efficace grazie alle moderne tecniche anestesiologiche anch’esse minimamente invasive.
Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università "Tor Vergata" di Roma (1993). Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia presso l'Università "Tor Vergata" di Roma (1998)...continua
Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Perugia (1990). Specializzazione in Anestesiologia e Rianimazione presso l'Università "Tor Vergata" di Roma (1994)...continua
Laurea nel mese di ottobre 2016 con votazione 110/110 Seconda Università degli Studi di Napoli
Indirizzo chirurgia della spalla e ginocchiocontinua